Il Dott. Giuliano Piccoliori, Responsabile scientifico dell’Istituto di Medicina Generale e Public Health di Bolzano, traendo spunto dalla sua partecipazione al recente Rural Health Forum EURIPA a Catania, traccia una panoramica della situazione attuale in cui versa la Medicina Generale in Italia.
Dott. Piccoliori, Lei nell’autunno dell’anno scorso ha partecipato all’undicesima edizione del rinomato Rural Health Forum EURIPA a Catania. Uno degli obiettivi principali del congresso era quello di fornire ai Medici di Medicina Generale risposte adeguate per superare le crisi del futuro e per rilanciare l’assistenza sanitaria primaria. Secondo Lei quali sono state le risposte e le considerazioni più utili e convincenti?
Dott. Giuliano Piccoliori: Dalle relazioni ma ancor di più dai colloqui avuti con colleghi da tutta Europa è emerso che ovunque in Europa esiste un problema di carenza di Medici di Medicina Generale – soprattutto nelle zone rurali e remote. Quello che più spaventa i giovani medici è soprattutto l’eccessivo carico di lavoro e i troppi sacrifici e rinunce in merito alla vita personale e familiare. Non è quindi un problema, quello della carenza di vocazioni per la Medicina Generale che si risolve con incentivi o premi quanto un problema di carico e sostenibilità del lavoro. Non sono pochi i giovani medici che purtroppo dopo poco vanno in burn-out rapidamente viste le attuali condizioni di lavoro. Le risposte, che si danno in tutta Europa, vanno tutte nella stessa direzione: organizzazioni complesse dove oltre ai medici lavora personale amministrativo e infermieristico in grado di farsi carico almeno in parte di incombenze non mediche, che contribuiscono in larga misura all’eccessivo carico di lavoro. Anche all’estero vengono chiamate come da noi “unità di cure primarie” o “case della salute” e consentono orari regolati senza avere responsabilità di gestione di struttura, attrezzatura e personale.
Molti relatori si sono occupati della nostra era contrassegnata da cambiamenti impegnativi e repentini, sottolineando che tradizioni e paradigmi dovrebbero essere rivalutati e le risorse ricollocate. Questo vale anche per la Medicina Generale in Alto Adige?
Prima di tutto non c’è dubbio che le risorse devono essere ricollocate. La pandemia ci ha insegnato che solo una medicina del territorio forte può far fronte a eventi così inaspettati anche nella loro misura. Attualmente in Italia solo il 7% del budget della sanità è destinato alle cure primarie. Bisogna incrementare questa quota investendo inpersonale di supporto e diagnostica in ambulatorio. Questo vale a livello nazionale come a livello locale. Bisogna poi prendere misure che portino al progressivo abbandono del modello del Medico di Medicina Generale che lavora da solo, spesso senza neppure una segretaria. I giovani medici, con alcuni dei quali ho avuto anche modo di confrontarmi al convegno, ce lo chiedono.
Durante il congresso Lei – assieme a dei colleghi provenienti da tanti paesi europei – ha avuto modo di visitare una Medicina di Gruppo a Catania. Vista la penuria di Medici di Famiglia, le forme aggregate di lavoro medico possono rappresentare un’opportunità per migliorare la qualità dell’assistenza sanitaria primaria?
Al di là dei buoni propositi bisogna onestamente ammettere che le forme aggregate di lavoro sono un po’ difficili da organizzare soprattutto nelle zone rurali. L’Italia è il paese dei mille campanili. Le persone anziane da noi come altrove sono riluttanti a spostarsi da un centro all’altro per trovare un medico, anche perché talvolta queste sono distanze non di pochi chilometri. La medicina di rete e la telemedicina possono essere una soluzione ma solo parziale e quando saranno implementate.
Quali presupposti di tipo amministrativo, politico, sociale e anche culturale sono necessari per far sì che la Medicina Generale possa rimanere la “colonna vertebrale” del sistema sanitario nazionale e locale?
La Medicina Generale non deve essere ostaggio dei burocrati e dei funzionari del Ministero delle Finanze e delle loro priorità. Una riforma reale non può essere a iso-risorse, come si è voluto far credere troppo spesso in passato, ma come già detto a fronte di un sostanziale investimento finanziario, ricordandosi che la spesa sanitaria in Italia rispetto al PIL è enormemente più bassa rispetto ai paesi europei con cui ci confrontiamo (Francia e Germania) come pure la spesa per la Medicina Generale. Il carico burocratico deve essere ridotto con semplificazione delle regole che soffocano la Medicina Generale. Questo punto è fondamentale. Le cure primarie devono essere multidisciplinari con la reale integrazione di Medici di Famiglia, infermieri e operatori sociosanitari in una quantità commisurata alla mole di lavoro che la popolazione assistita richiede, dove il Medico di Medicina Generale è il coordinatore. Bisogna investire nella Medicina Generale e soprattutto nelle zone rurali dove il carico di lavoro legato a una popolazione più anziana e con multi morbidità richiede più assistenza. In Irlanda la campagna “No Doctor, No Village” è una campagna nazionale guidata da pazienti e Medici di Famiglia delle zone rurali che mira a salvare e proteggere il servizio di Medicina Generale delle comunità rurali che è diventato sempre più vulnerabile e ha portato molte comunità rurali isolate a perdere il servizio di Medicina Generale permanentemente. Anche per questi motivi osserviamo una massiccia emigrazione di popolazione dalle aree rurali verso le travagliate banlieues suburbane, contribuendo all’instaurarsi di gravi problemi sociali. In Italia, così come nel resto d’Europa, per preservare i bellissimi borghi, le montagne e le piccole isole dall’abbandono della popolazione, c’è anche bisogno di un’assistenza primaria di buona qualità.
A Catania Lei ha illustrato le attività di ricerca dell’Istituto di Medicina Generale e Public Health di Bolzano. L’Istituto segue innumerevoli progetti scientifici. Per quale motivo è importante che i risultati di questi progetti vengano resi immediatamente fruibili ai Medici di Famiglia?
Per due ragioni: in primo luogo perché contribuiscono a rendere i Medici di Famiglia più consapevoli che rappresentano una disciplina medica a sé stante con, come dice WONCA, propri contenuti di ricerca. In secondo luogo perché i risultati della ricerca non solo descrivono i contenuti dell’attività clinica in Medicina Generale ma contribuiscono a migliorare la qualità dell’assistenza ai pazienti.
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